Cinquecento anni fa gli ambasciatori del Ducato di Milano e della Repubblica di Venezia sottoscrissero un trattato che inaugurava, dopo lunghi anni di guerre, un inaspettato periodo di pace. Un quarantennio d’oro.
Nessuna generazione aveva mai goduto di quel dono, e nessun’altra, per il mezzo millennio successivo, ne avrebbe più goduto.
Finché sono arrivati loro, i nati fra il 1946 e il 1950.
Il protagonista di questo romanzo ha avuto la fortuna di nascere nel quinquennio felice e di avere, insieme agli altri fortunati, un’esistenza baciata dagli dèi: di conoscere due mondi, due infanzie e due giovinezze, la prima in un’Italia pre e paleoindustriale, ancora a misura di bambino, e la seconda, fatta di entusiasmi e di esperienze del tutto originali, nel periodo eroico del Sessantotto.
Ma di quel dono questi «frontalieri della Storia» cos’hanno saputo fare?
Cos’hanno costruito per il futuro, con i loro slanci, le loro battaglie al riparo dalle guerre e le loro allegre rivoluzioni sessuali?
Mentre la vita scorre, il protagonista si interroga, cerca ragioni e spiegazioni, angosciato per il figlio, condannato a essere precario, per le tante donne che lo attraggono e gli complicano le giornate,
per i colleghi e le vicende dell’università verso cui è ogni giorno più insofferente, per il mondo così come è diventato.
Rimangono il suo vitalismo, il conforto degli amici di sempre e il lucido disincanto al quale, senza proporselo, si è allenato.
Ne esce il racconto di un sessantennio di storia italiana: un romanzo-pamphlet, mai prevedibile, sui nostri paradossi presenti e passati.