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L'amore in se

L'amore in se - Marco Santagata
«Bubi è il nome del desiderio». E’ questa la frase che una mattina d’inverno in apparenza uguale a tutte le altre ...
«Bubi è il nome del desiderio». E’ questa la
frase che una mattina d’inverno in apparenza uguale a tutte le altre
risuona – incongrua, sconveniente, quasi surreale – in un’aula
dell’università di Ginevra, mentre il professor Fabio Cantoni spiega un
sonetto di Petrarca a un gruppo di studenti che lo seguono prendendo
appunti con moderato interesse. Ma è stato solo un lapsus: il professor
Cantoni voleva dire «Laura», naturalmente. Eppure il fatto che proprio
oggi quel nome sia affiorato dalla memoria deve avere un senso – così
come deve averlo il fatto che, svegliandosi in una città imbiancata di
neve, lui abbia deciso di commentare un sonetto diverso da quello che
aveva previsto: La vita fugge e non s’arresta un’ora. E non basta:
all’improvviso, infatti, il filologo che per trent’anni ha studiato
poesie d’amore con lo stesso distacco con cui un anatomopatologo
seziona un cadavere si ritrova, parlando di Petrarca, a parlare di sé.
Sarà, la sua, una lezione impudica – molto più di quanto possano
immaginare gli studenti, che pure lo ascoltano, attoniti, parlare di
amore, di vecchiaia, di desiderio, di malinconia. E le cose presenti e
le passate / mi danno guerra e le future ancora... Nella mente di Fabio
Cantoni i versi di Petrarca si confondono con le parole ingenue e
appassionate delle canzoni degli anni Sessanta – Ti ricordi quella
sera... Roberta, ascoltami... –, che gli parlano di un amore
adolescenziale e di una ragazza bionda e sottile, tanto più seducente
quanto più segreta, sfuggente, tormentata. Era stato attraverso di lei
che Fabio aveva imparato a capire e ad amare la poesia; ed era stata la
sconvolgente scoperta del dramma che Bubi nascondeva a fargli provare
per la prima volta il sapore acre della sofferenza. Forse, alla fine di
questa giornata d’inverno diversa da tutte le altre, il professor
Cantoni scoprirà invece che proprio il saper accettare la nostalgia e
il dolore di cui è costituita la memoria gli permetterà di stabilire un
rapporto nuovo – più limpido, e finanche pacificato – con la sua vita
presente, e la futura.


Come nasce un racconto


Come nasce un racconto?
Se sapessi rispondere in maniera convincente, mi glorierei di essere un
grande critico. Mi si dirà che almeno su come è nato questo racconto
io, che ne sono l’autore, qualche idea dovrei essermela fatta. Ricordo
la frase di un critico militante tedesco, che all’incirca diceva: gli
autori non sanno di sé stessi più di quanto le farfalle sanno di
entomologia. Siccome trincerarmi dietro a una simile dichiarazione - da
non prendere del tutto alla lettera, ma neppure da rigettare del tutto
–sarebbe un gesto un po’ troppo snobbistico, a rispondere mi ci provo. Dico subito, però, che sarebbe più facile per un autore (e forse anche per
un critico) parlare di come un racconto cresce e si evolve, di come,
cioè, un autore prende coscienza, nel corso della scrittura, di quanto
che sta facendo e, sulla base di una raggiunta consapevolezza, orienta
la narrazione secondo linee che gli si sono progressivamente chiarite.
In effetti, della “cecità
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