Caro Andrea,
quando poco prima che partissi per l'Elba, mi hai chiesto:
"Come mai il nonno è diventato comunista?"
ti ho risposto:
"Perchè era una persona onesta".
Anche se non hai detto niente, mi sono subito reso conto che la risposta non ti era piaciuta. E in effetti non era nemmeno una risposta. Forse mi aveva irritato constatare il tuo disinteresse per le mie scelte politiche: non mi hai mica chiesto perchè io ero diventato comunista.
In questo caso avrei potuto risponderti raccontandoti il pranzo di nozze della cugina di mamma.
Comunque,ho ripensato alla tua domanda, e ho deciso che era giusto darti una risposta. E' per quasto che ti ho scritto. (il romanzo)
... ...
Avrei potuto risponderti, fin da subito, che papà non è mai diventato comunista.
Sarebbe stata una risposta vera, ma fiscale, e perciò, in fondo, falsa.
Sono sicuro che fra venticinque anni, quando ci saranno solo partiti transnazionali, e tuo figlio, militante nel partito della Coca Cola, sostenitore dei valori occidentali contro quello della Mitszubisci, ti chiederà perchè tu, dopo la disfatta del comunismo, la scomparsa dei vecchi partiti, la nascita della nuova democrazia, sei diventato comunista, sono sicuro che non starai a cavillare dicendo che i progressisti erano tutt'altra cosa dai comunisti.
I nomi non contano, perchè nella storia gli schieramenti sono sempre stati solo due: o si sta con i poveri, o si sta con i ricchi.
I due schieramenti non sono equivalenti.
Non è veroche l'importante è il rispetto della così detta volontà popolare.
La zia Emila, la nonna Rachele e gli industriali di Ravenna erano in maggioranza rispetto a papà e con questo avevano ragione?
Fino a pochi anni or sono avrei potuto spiegarti i motivi razionali, anzi scientifici, in base ai quali quelli schierati con i poveri erano dalla parte della ragione, della storia e della giustizia.
Le motivazioni scientifiche si sono dissolte come bolle di sapone.
Eppure io continuo a credere che quelli schierati con i poveri siano migliori degli altri.
Ma non preoccuparti di cercare i motivi. Tu vai, vai che è il tuo momento.
Nell'ottocento dicevano che ci vogliono tre generazioni perchè da un contadino nasca un borghese. Lo dicevano in Francia però. Non so cosa nasca in Italia dopo tre generazioni. E' vero però che anche da noi ci vogliono tre generazioni per disfare un contadino.
Mi dispiace per te, caro ingegnere, ma tu non sei il nuovo. Sei l'ultima scheggia che sta per staccarsi dal tronco del passato. Tu puoi ancora ricordare, e questa memoria è quella che ti frega.
E allora vai, perchè il tuo compito è quello.
Perderai, ma non importa. I ricchi hanno sempre vinto. Ma ricorda che i poveri non hanno mai perso.
Vai, finchè c'è ancora una qualche memoria.
I dieci anni costringono Alessandro a un altra storia e a un altro futuro.
E chissa che fra venticinque anni, alla domanda di tuo figlio, tu non risponda dicendogli: "Adesso ti racconto la storia di mio nonno".
Ora ti devo lasciare. Mi aspetta la finale del campionato del mondo sul maxischermo della Linguella. Spezzeremo le reni al magno Brazil? In questi giorni Alberto ha scoperto il calcio. Con l'entusiamo cieco ed esclusivo dei bambini non parla che dei Baggios e di Gianlucapagliuca. L'attesa del gran finale lo ha messo in agitazione gi… da questa mattina.
Mercoledì scorso con la Bulgaria abbiamo sofferto. All'uscita dall'anfiteatro, sulla baia di Portoferraio gravava un silenzio irreale. Neppure un'onda sciabordava fra le barche ancorate lungo le banchine. I lampioni illuminavano a giorno i lungomari deserti; verso il largo, sul blu cupo del mare splendevano le stelle. Fu un attimo. I festeggiamenti scoppiarono all'unisono. Le automobili correvano incolonnate suonando i clakson; dai finestrini braccia nude sventolavano bandiere tricolori. Suoni di trombe, di tamburi e di fischetti si mescolavano fra un tripudio di voci bercianti. Tra le auto facevano lo slalom motociclette con sopra ragazzini scalmanati. Gruppi di giovani in mutande e canottiera correvano senza una meta cantando "Fratelli d'Italia". Le barche agli ormeggi attaccarono le sirene e i rimorchiatori lanciavano in alto spruzzi d'acqua schiumosa; dagli spalti del castello partivano bordate di razzi verso il mare. Una nube biancastra di polvere sparata scendeva come una nebbia sulle insegne dei bar e delle pizzerie.
Alberto camminava silenzioso al mio fianco tenendomi la mano. Allo scoppio dei petardi faceva un sobbalzo, stringendo pi— forte. Frastornato, impaurito, camminava saltellando nella calca, difendendosi con la mano libera dagli urti dei ragazzi che correvano. Cercava, a momenti, di entrare in sintonia con la festa, di farsi tifoso anche lui: "Baggio, Baggio...", ma il suo peana non decollava.
"Non sei contento?", gli ho chesto scuotendogli la mano.
Ha cercato le parole per qualche secondo, guardando per terra, poi ha sollevato verso di me gli occhi lucidi e cerchiati e, parlando ad alta voce per vincere il frastuono, mi ha detto:
"Un po' sono contento, perch‚ abbiamo vinto".
E dopo una pausa ha soggiunto:
"ma un po' mi fa paura".
Capoliveri, luglio 1994