Che cosa c’entro io con la presentazione di un libro?
Come direbbe il noto parlamentare Di Pietro (francesco ..franco…aah che confusione..Antonio Di Pietro che c’azzecco io con il professore Marco Santagata.
Lui illustre Docente univertsitario di letteratura italiana alla Normale di Pisa (nemmeno col normale potrei c’entrare) studioso di poesia del trecento e massimo esperto mondiale del Petrarca (ecco forse con “il canzoniere” potrei cominciare a c’entrare qualcosa…) e poi scrittore e vincitore del prestigioso premio campiello…
insomma un vero “intellettuale” è seduto accanto a me che più modestamente scrivo canzoni e faccio del rock.Eppure ci sono un bel po’ di cose che ci uniscono, partendo innanzitutto da Zocca, da dove veniamo entrambi. ….
Nel luogo che l’infanzia aveva per sempre trasfigurato nell’immagine più vicina a quella del Paradiso terrestre… così viene definito nel libro.
“Il natio borgo selvaggio” E’ lì che custodiamo i ricordi della nostra adolescenza e della nostra giovinezza….In quel piccolo paese di montagna in mezzo all’Appennino che pure ha dato i natali a un sacco di gente…molto “originale” : un astronauta, il professore io..ed altri che come noi sognavano da piccoli di uscire da quelle quattro mura di paese e che oggi forse sognano ancora di ritornarci….anche se trattandosi di una idealizzazione della memoria e non di un luogo fisicoe considerato che Non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume è pressochè inutile andarlo a “cercare”.
Dei “sognatori” appunto. Non eravamo proprio nella stessa compagnia….il professore ha qualche anno più di me, ma ci conosciamo bene.
Le abitudini sono più o meno le stesse quando si vive in un paese.
Ci si conosce tutti, ci si incontra in piazza il sabato e la domenica, stessa piazza stesso bar… c’è una complicità di fondo che ci unisce Persino Bubi, quella ragazza che torna improvvisamente alla mente del professore, il protagonista del libro, mi sembra di conoscerla.
Non so dirvi esattamente chi è ma di sicuro l’ho vista..
Ricordando Bubi, al protagonista viene in mente un poeta del 200, Guido Cavalcanti di cui cita i versi:Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,che fa tremare di chiaritate l’are,e mena seco amor, s’ che parlarenull’omo pote, ma ciascun sospira?Non sembra una canzone?
Bè a proposito di canzoni in questo libro ne vengono citate molte
Roberta… di peppino di capri…love me tender di Elvis presley
Tutti sucessi di quella favolosa estate del ’63 durante la quale il protagonista ha quindici anni e vive la sua travolgente storia d’amore adolescenziale.
È interesante notare come il futuro accademico letterato esperto e specializzato in poesia del 300 in quell’età ascoltasse e fosse rapito da quelle che definiamo Canzonette. Infatti è nell’età adolescenziale e nella prima giovinezza che la musica che viene definita leggera entra così profondamente nei cuori e nelle coscienze per poi, a mano a mano che si cresce, perdere diciamo così di importanza.
Chissà perché?
Si è soliti dire che la musica non è più quella di una volta ma è proprio così?
Lasciamo questa domanda nell’aria per il prossimo seminario e torniamo al libro.
L’autore attraverso la poesia ricorda e rivive una storia d’amore
Ecco uno dei motivi per cui questo libro mi piace L’autore ci fa vivere la poesia. Quella poesia che, almeno ai miei tempi, a scuola ci facevano imparare a memoria riducendola a delle specie di scioglilingua antipatiche e senza senso… Marco Santagata ha invece il pregio di rendercela tangibile, reale.
La trasforma in vita…Lui trasforma la poesia in vita…io trasformo la vita in canzoni.C’è un altro passo del libro che mi viene da citare. Il protagonista nelle sue riflessioni dice che i ricordi riaffiorano Rieccoli senza tracce di polvere,…..E se il compito della filologia fosse proprio questo: nascondere, coprire, preservare, conservare le emozioni nella loro primigenìa genuinità, mantenerle in vita fingendo di ucciderle?…..E se questo fosse il compito della canzone, chiedo io? L’autore ‘pesca’ dal suo inconscio come in una seduta psicoanalitica e vede scorrere come in un film le immagini di un amore vissuto tanto tempo fa, quel particolare tipo di amore che si vive nell’adolescenza. Ed è lì che si và sempre a pescare quando si cercano ispirazioni e si vogliono raccontare emozioni veramente intense.
E’ il miracolo dell’arte. I ricordi si trasfigurano e diventano un romanzo, un dipinto o .. una ‘canzone’L’artista ha bisogno di tante cose ....meno una forse: lo psicanalista. Perché scrivere è come farsi da soli un’analisi o essere eternamente in autoanalisi, per rendersi conto alla fine che “ci tocca di restare qui per amore”e che …camminiamo, andiamo avanti sempre in bilico sopra la follia…ciò a dire che la vita e l’amore sono il motore dell’arte.
Caro Santagata….da “dottore” a “dottore”….Ti faccio i miei più sentiti complimenti.