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Il copista

Il copista - Marco Santagata
"E con questo sono quattro...". Quattro giorni che pioveva. "Qui, o crepi di caldo o geli dal freddo" brontolò. Rabbrividendo cercava di sollevarsi dal letto...


Il copista, Palermo. Sellerio editore 2000

Ormai vecchio e afflitto nel corpo da molti mali, il poeta Francesco Petrarca vive ritirato nella casa di Arquà presso Padova, dove riceve le visite di letterati e uomini potenti venuti a rendergli omaggio. La certezza della fama raggiunta, tuttavia, lungi dal procurargli serenità, lo costringe a confrontarsi con i molti lutti che hanno funestato la sua vita e con la sterilità che la condizione di chierico gli ha imposto. Ha subito infatti la perdita del figlio naturale Giovanni, falciato dalla peste che anni prima si era portata via anche Laura, e del nipotino Francesco, e infine ha visto fuggire da sé anche il giovane Giovanni Malpaghini, venuto a risiedere presso di lui per aiutarlo a copiare le sue rime volgari, il quale gli assomiglia come un figlio nelle sembianze e nella purezza della composizione in latino.

In una piovosa mattina d’autunno la vecchiezza del corpo si fa sentire con fastidiose flatulenze e acidità di stomaco, mischiate a non sopiti desideri della carne. Petrarca, che una volta si alzava all’alba pieno di ispirazione poetica, fatica a svegliarsi e si accosta svogliato al tavolo da lavoro. Sbrigata frettolosamente l’incombenza di una scrittura latina d’occasione - una responsiva al rampollo di una altolocata famiglia napoletana - l’occhio gli cade sull’abbozzo di una canzone composta anni prima, nella quale una serie di visioni che ruotano intorno all’immagine di Laura descrivono il senso della precarietà e della morte. Ritrovata l’antica forza poetica e messa da parte ogni retorica, Petrarca scrive strofe di disincantata amarezza che si spingono a negare la possibilità della vita eterna e della redenzione in Dio. In questo lungo momento di sincerità e di abbandono si sente anche disposto a richiamare Giovanni accogliendo la sua richiesta di vedersi finalmente riconosciuto come figlio carnale.

Ma ben presto sul bisogno di mettere a nudo la propria anima e di aprirsi a un legame affettivo vero ha il sopravvento la vanità letteraria e il timore di intaccare la propria fama. Temendo di perdere l’ammirazione del mondo e dei posteri come miscredente, e forse di trovare in Giovanni, pur amandolo, un rivale capace di far ombra alla sua statura di letterato, si affretta a emendare in senso cristianamente devoto la canzone e a indirizzare al giovane parole di paternalistica benevolenza, nelle quali gli annuncia il proprio perdono per la sua fuga improvvisa a patto che abbandoni la sua bizzarra pretesa (“Eccoti servito, figlio mio
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